Alcolisti Anonimi Brescia
1.3. Capitolo terzo
Introduzione Tiziana Fanucchi psicologa – Servitore insegnante di Club.
In questo capitolo Hudolin apre una questione ancora oggi centrale nel mondo dell’alcologia che va a riprendere e approfondire anche in altre parti del Manuale, quella della definizione e dell’interpretazione del fenomeno «alcol».
Da quando, infatti, si è iniziato a percepire l’uso di bevande alcoliche come problema, ha preso avvio l’elaborazione di teorie per cercare di comprenderlo.
Nelle diverse epoche storiche sono state date svariate interpretazioni, spesso cariche di pregiudizi e stigma (dal vizio, alla disgrazia, alla malattia), interpretazioni che cambiano a seconda di chi le formula e del contesto culturale e che, quantunque ancora oggi coesistano, nel tempo, hanno mostrato la loro incompletezza e inconsistenza scientifica.
Tra queste un peso importante lo hanno avuto il cosiddetto «modello morale», dominante durante il XIX secolo, che considerava l’alcolismo come un vizio della volontà e il «modello medico» che considerava invece l’«alcolismo» come una malattia legata ad una vulnerabilità individuale.
La prima descrizione dell’«alcolismo» come specifica sindrome risale al 1849 ad opera del medico svedese Magnus Huss che parlava di «alcolismo cronico».
È dopo la seconda guerra mondiale che si affermò il concetto di «alcolismo» come malattia anche grazie al movimento degli Alcolisti Anonimi, nato nel 1935 negli USA, e progressivamente si aprì un dibattito sulla collocazione nosografica* dell’«alcolismo» con l’individuazione di molteplici fattori concorrenti al disturbo in diversi ambiti di ricerca, genetico, neurobiologico psichiatrico. Se il «modello medico» ha ridimensionato le considerazioni moralistiche sui problemi alcolcorrelati che caratterizzarono il pensiero dell’800 e le relative azioni orientate prevalentemente alla stigmatizzazione e all’alienazione, tuttavia ha perso di vista le componenti sociali, ambientali e culturali che sostengono il consumo di alcol.
Nel 1976 Edwards e Gross, cogliendo la complessità dei problemi alcolcorrelati, proposero di privilegiare l’espressione «sindrome dipendenza da alcol» a quella di «alcolismo», inserita poco dopo nell’ICD-9. Nota a margine 1.
Con la crisi del paradigma biomedico tradizionale, l’affermarsi del modello bio-psico-sociale di Engel, il focus del problema si è spostato, nel tempo, dal solo danno biologico all’osservazione delle variabili contestuali implicate, avviando una prospettiva socioculturale.
Un significativo tentativo di dirimere la questione sull’«alcolismo» è stato un editoriale apparso sul British Journal of Addiction del 1987 dal titolo «No “Alcoholism”, please, we’re British», che sottolineava come la parola «alcolismo» non potesse contenere l’enorme complessità delle connesse.
In particolare, un intervento presente sullo stesso numero evidenziava non solo l’inconsistenza scientifica del termine «alcolismo», ma anche la necessità di ricondurre tale condizione fuori da ogni rigida definizione categoriale, per porre invece una realtà complessa caratterizzata da una dinamica processuale che si articola in tutte le diverse forme comportamentali e relative conseguenze correlabili al fenomeno, diffuso e culturalmente accettato, del consumare bevande alcoliche.
È in questo contesto che Hudolin scrive il presente manuale, che costituisce un momento fondamentale per lo sviluppo della cultura alcologica in Italia e definisce «l’approccio ecologico o verde» più tardi rinominato «approccio ecologico sociale».
Il pensiero di Hudolin esprime una sintesi, intensa ed efficace, delle grandi scoperte del ’900, dalla psicoanalisi, alla psichiatria sociale, alla teoria generale dei sistemi, Nota a margine 2 alla cibernetica e l’ecologia della mente, Nota a margine 3 all’approccio familiare e va in sintonia con tutti i documenti prodotti dall’OMS sulla promozione della salute a partire da Alma-Ata Nota a margine 4 anticipando quelli sull’alcol.
Con il «Primo Piano d’Azione Europeo sull’Alcol», Nota a margine5 «Alcohol policy and public good» Nota a margine 6 e la «Carta Europea sull’alcol», Nota a margine7 l’OMS comincia, infatti, a delineare il «rischio alcol» come continuum lungo il quale tutti ci muoviamo nel corso della vita in maniera imprevedibile, a parlare ufficialmente di «problemi alcolcorrelati» e a sottolineare l’importanza dell’approccio di popolazione per la costruzione di programmi di tutela e promozione della salute in ambito alcologico, tutti concetti cardine dell’approccio ecologico sociale.
1.3.b – Capitolo terzo Hudolin
Come è noto, la più recente definizione di salute Nota a margine 8 da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di benessere psico-fisico-sociale.
Da questo approccio deriva che la protezione e la promozione della salute Nota a margine 9 sempre più viene a includere i concetti di auto e mutuo aiuto, Nota a margine10 l’attività e il coinvolgimento di ogni singolo cittadino, nonché l’utilizzo di metodologie alternative spesso basate sul lavoro degli operatori volontari Nota a margine11 presenti nelle comunità territoriali.
Le principali difficoltà riscontrate dagli operatori Nota a margine12 e in particolare dai medici, rispetto ai problemi alcolcorrelati, sono rappresentate dalla mancanza di una precisa definizione dell’alcolismo, Nota a margine13 dalla scarsa chiarezza di alcuni concetti a esso collegati, come la tolleranza e la dipendenza e dalle difficoltà di inquadramento diagnostico.
Il medico vorrebbe poter porre una diagnosi precisa di alcolismo, secondo i principi della diagnostica classica, e iniziare di conseguenza una cura improntata il più possibile ai trattamenti medici tradizionali.
Agli altri operatori, in particolare agli operatori volontari, basta spesso sapere che la persona ha dei disturbi alcolcorrelati per iniziare un trattamento che non è di tipo medico tradizionale. Nota a margine14 Per tutte queste ragioni sarebbe necessario disporre di una definizione chiara di alcolismo, valida e fruibile sia per gli operatori professionisti che per gli operatori volontari.
Nel dopoguerra sono state proposte numerose definizioni di alcolismo-mediche, psicologiche, sociali- ma nessuna di esse ha reso possibile una chiara distinzione tra l’alcolismo e gli altri disturbi comportamentali o tra il bere cosiddetto moderato o il bere problematico e l’alcolismo.
Nota a margine 15
La definizione che a suo tempo è stata proposta dal gruppo di esperti dell’OMS (WHO, 1951) afferma che viene considerato alcolista Nota a margine 16 colui il quale consuma alcolici in misura eccessiva e che, per questo motivo, sviluppa una dipendenza psichica e fisica dall’alcol e manifesta disturbi psichici e/o fisici e/o comportamentali che rivelano alterazioni della salute fisica e psichica, difficoltà nelle relazioni interpersonali e problemi nella sfera sociale.
Secondo questa definizione, si considera alcolista anche chi presenta i sintomi iniziali di questi disturbi. Questa definizione di alcolismo è molto simile alla definizione che più tardi verrà proposta, dallo stesso gruppo di esperti, per le tossicodipendenze.
Molto presto ci si rese conto che la definizione proposta dagli esperti dell’OMS, pur avendo un’influenza positiva sullo sviluppo dell’alcologia, presentava numerosi aspetti negativi: definiva alcolisti anche persone che non lo erano o, al contrario, non includeva tutti quelli che effettivamente lo erano. Il medico non poteva usare efficacemente questa definizione, che includeva aspetti non accessibili agli strumenti della diagnostica medica classica. Nella maggior parte dei casi veniva fatta diagnosi di alcolismo quando erano già subentrate complicanze fisiche o psichiche. Era sempre più evidente e urgente la necessità di un aggiornamento degli operatori sanitari e sociali e l’introduzione di approcci alternativi (Ghodse H. e Inayat K., 1989).
Jellinek E.M. (1952), l’autore principale della sopracitata definizione, era consapevole della sua scarsa chiarezza. Anche per questo motivo ha cercato di individuare alcuni quadri clinici tipici e le fasi di sviluppo dell’alcolismo, designandole con le lettere dell’alfabeto greco (alfa, beta, gamma, delta, epsilon) e non escludendo che il loro numero potesse crescere col tempo. Anche l’autore di questo manuale, sull’esempio di Jellinek, ha descritto un tipo particolare di alcolista, l’alcolista «zeta» (Hudolin Vl., 1977).
- L’alcolista «Alfa» beve per motivi psicologici; non ha perso la capacità di controllo sul proprio bere o la capacità di restare in astinenza.
- L’alcolista «Beta» si caratterizza per la presenza di numerose lesioni organiche; non manifesta dipendenza fisica né psichica.
- L’alcolista «Gamma» ha una chiara dipendenza psichica, con livelli particolarmente elevati di tolleranza; ha perso la capacità di controllo sul proprio bere, pur non manifestando problemi di astinenza.
- L’alcolista «Delta» è simile all’alcolista Gamma, ma non può mantenere l’astinenza; se per qualsiasi motivo smette di bere, manifesta immediatamente sintomi di astinenza e dipendenza fisica.
- L’alcolista «Epsilon» beve a periodi ciclici (dipsomania).
- L’alcolista «Zeta» (Hudolin) reagisce in modo abnorme anche a minime quantità di alcol e manifesta un comportamento aggressivo.
Oggi non si parla più di questa suddivisione tipologica Nota a margine 17 e anche il concetto di alcolismo come malattia è seriamente messo in discussione. Nota a margine 18
Per una migliore comprensione delle tipologie proposte da Jellinek è bene approfondire due tipi di dipendenza molto spesso citati nella letteratura alcologica, cioè la dipendenza psichica e la dipendenza fisica. La prima riguarda la perdita della capacità di controllo sul bere. In questo caso, l’alcolista può astenersi dal bere, ma non appena assume il primo bicchiere, perde la possibilità di controllo sulle ulteriori assunzioni. Una volta tornato sobrio, può astenersi, però al primo bicchiere perde la possibilità di controllo.
La seconda comporta, secondo Jellinek, la perdita della capacità di astenersi. Questi alcolisti non sono in grado di rimanere astinenti nemmeno per una giornata; appena ci provano, o quando le circostanze li costringono (carcere, ospedalizzazione), si manifestano i sintomi dell’astinenza.
Un tipo di dipendenza (impossibilità di controllo della quantità) può tramutarsi nell’altro (incapacità di astenersi). Quando si perde la capacità di astenersi, più probabilmente si tratta di dipendenza fisica che di solito si accompagna comunque a dipendenza psichica. Quando si conserva invece la capacità di astenersi, ma non la possibilità di controllo sul bere, si tratterà di dipendenza psichica.
In molti casi i due tipi di dipendenza coesistono. Nell’ultimo decennio, sia la dipendenza fisica che quella psichica sono state sempre più messe in discussione.
Del resto né la dipendenza fisica, né quella psichica sono mai state descritte chiaramente. Nota a margine 19 Recentemente sia il fenomeno della dipendenza che quello della tolleranza sono stati ricondotti ad alterazioni del sistema nervoso centrale, in particolare ad alterazioni, forse genetiche, di alcuni neurotrasmettitori. Secondo questa interpretazione saremmo in presenza di un fenomeno neuroadattativo. Nota a margine 20
Anche il gruppo di esperti dell’OMS ha proposto di sostituire la definizione di «dipendenza fisica» con quella di «stato neuroadattativo» (Edwards G. e coll., 1981).
Secondo le concezioni tradizionali, l’alcolista che è psichicamente dipendente dall’alcol beve per motivi psicologici e per poter meglio superare le difficoltà che si presentano nei suoi rapporti relazionali e sociali; l’alcolista che è fisicamente dipendente dall’alcol soffre invece di una «fame metabolica» di alcol ed è per questo che beve: senza alcol non è in grado di eseguire i compiti più elementari. Se l’individuo che è fisicamente dipendente rimane senza alcol, si manifestano i sintomi della crisi di astinenza. All’inizio, l’alcol dà piacere e molti lo bevono per questo motivo (è il bere, psicologicamente condizionato, del modello behavioristico); quando si è sviluppata la dipendenza, l’alcolista beve per evitare la sofferenza.
Nemmeno la descrizione di alcune tipologie di alcolisti, come sono state proposte da Jellinek, ha reso più accessibile al medico e, in particolare, al medico di base, Nota a margine21 la diagnostica dell’alcolismo.
Il medico di base ha, come noto, un ruolo essenziale nel controllo dei problemi alcolcorrelati.
Il Centro per lo studio e il controllo dell’alcolismo e delle altre dipendenze dell’ospedale universitario di Zagabria, aperto nel 1964, in base alle sue ricerche epidemiologiche e al lavoro di prevenzione e di trattamento svolto, ha formulato una modificazione della definizione di alcolismo proposta dal gruppo di esperti dell’OMS (Hudolin Vl., 1977).
Secondo questa definizione, «alcolista è chi, assumendo eccessivamente alcolici per un dato periodo di tempo, diventa dipendente dall’alcol, psichicamente, fisicamente o in ambedue i modi, e presenta per questa ragione disturbi della salute psichica e/o fisica, difficoltà e disagi relazionali e sociali che rientrano negli inquadramenti diagnostici medici e sociali classici. Tali disturbi devono essere verificati e non si può, sulla base di soli dati anamnestici indicativi di consumi eccessivi di alcol, concludere che si tratti di alcolismo» (Hudolin Vl., 1977).
Si può facilmente osservare che anche questa definizione è molto vicina all’approccio medico e che non può essere sfruttata nei programmi territoriali per il controllo dei problemi alcolcorrelati. Ogni individuo diagnosticato alcolista in base ai criteri delle definizioni sopra descritte quasi certamente lo sarà. Il problema è che molte persone, il cui bere problematico è causa di disturbi del comportamento e di tanta sofferenza relazionale, non verranno avviate ai programmi di trattamento prima che si manifestino lesioni irreversibili.
Esistono molte perplessità anche per il termine «alcolismo cronico».
La diagnosi di alcolismo cronico presuppone che esista anche un alcolismo acuto. Nota a margine 22 Quando si tenta però di definire che cosa significhi alcolismo acuto, le cose si complicano perché, anche fra gli esperti, le opinioni sono discordanti. Se supponiamo, e sono in molti a supporlo, che l’alcolismo acuto consista in una intossicazione acuta da alcol, quello che di solito si chiama stato di ubriachezza, ciò significa che la maggior parte delle persone, una o più volte nella vita, hanno sofferto di alcolismo acuto, e quindi avrebbero potuto essere diagnosticate come alcolisti, alcolisti acuti, ma pur sempre alcolisti. In questa discutibile definizione di alcolismo, verrebbe inclusa la maggior parte della popolazione dei Paesi mediterranei. Nella definizione di alcolismo acuto invece potrebbero essere incluse le complicanze acute dell’alcolismo, ma in questo caso bisognerebbe mettersi d’accordo su quali complicanze acute si sottintendano.
Così, si potrebbero ad esempio descrivere come alcolismo acuto il delirium tremens, la allucinosi alcolica acuta, la encefalopatia acuta di Wernicke, la forma acuta della polineuropatia alcolica e qualsiasi altro quadro clinico acuto, psichico o fisico, caratteristico dell’alcolismo.
Sta di fatto che non esiste accordo su che cosa possa essere considerato alcolismo acuto e nemmeno è chiaro il concetto per cui, come alcolismo acuto, sarebbero ricomprese le complicanze acute dell’alcolismo.
La soluzione più opportuna è quella di definire l’ubriachezza non come alcolismo acuto, ma come intossicazione acuta da alcol, o avvelenamento acuto da alcol, e di parlare non di alcolismo cronico, ma semplicemente di alcolismo.
Per di più il concetto di alcolismo cronico ha assunto, con gli anni, una connotazione decisamente dispregiativa. Siamo tuttavia alla ricerca di un termine più adatto poiché anche alcolismo ha una connotazione sostanzialmente negativa e come quadro nosologico definito non esiste.
Esistono in realtà tanti alcolismi quanti sono gli individui e le famiglie che ne soffrono
(Jacobson R.G., 1976).
Per lungo tempo l’alcolismo, come sappiamo, è stato considerato una debolezza morale o una malattia. Successivamente, oltre che di alcolismo, si è cominciato a parlare del cosiddetto bere problematico o bere eccessivo. Nota a margine15
L’OMS dal canto suo ha proposto dapprima il concetto di malattia e più tardi quello di alcoldipendenza (Edwards G.E. e coll.,1977). Abbiamo già visto che il concetto di dipendenza è oggetto di vivaci discussioni Nota a margine 19 e che, per definire l’alcolismo, si sta cercando una nuova terminologia, più adatta di quella in uso. Attualmente l’OMS si è orientata verso la denominazione di «disturbi alcolcorrelati» . Nota a margine 15 e 19
Un altro interessante e controverso aspetto dell’alcolismo è il fenomeno della tolleranza, per cui occorre aumentare le dosi per ottenere gli stessi effetti psichici che si avevano precedentemente con minori quantità.
Attualmente questo fenomeno viene spiegato come conseguenza di disturbi nella trasmissione degli stimoli nel sistema nervoso centrale. Si tratta di cambiamenti di adattamento del sistema nervoso che vengono definiti da alcuni autori «tolleranza cellulare farmacodinamica». Nota a margine20
Contemporaneamente alla tolleranza verso l’alcol, in alcune persone, si manifesta un aumento di tolleranza verso alcune altre sostanze (barbiturici o ipnotici non barbiturici).
Ci occuperemo ora di fornire una breve rassegna dei concetti su cui si basano i programmi alcologici attuali. Il controllo dei problemi alcolcorrelati si basa infatti su vari concetti teorici. La descrizione di questi concetti servirà a facilitare sia l’approfondimento scientifico che la prassi operativa quotidiana.
*Nosografica = nosografia. Con il termine n. si indica la descrizione delle malattie. La scienza basilare della medicina − la patologia − abbisogna, come ogni altra scienza naturale, di una terminologia univoca che indichi in modo preciso le diverse entità teoriche di cui la medicina stessa tratta, cioè le malattie. I processi morbosi, inoltre, costituiscono sequenze di eventi naturali che presentano analogie e somiglianze di vario tipo, cosicché la descrizione e la conoscenza dei meccanismi delle varie malattie si collegano molto strettamente con il problema della loro classificazione. La classificazione attuale delle malattie costituisce un sistema molto complesso nel quale coesistono criteri e obiettivi di ordinamento assai diversi fra loro.
Nota a margine 1 Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ICD-9, International Classification of Diseases (Classificazione Internazionale delle malattie, 9a revisione, 1992.
Nota a margine 2 L. von Bertalanffy (1968), General System Theory, New York George Braziller, trad. it. Teoria generale dei sistemi, Milano, ISEDI, 1971.
Nota a margine 3 G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1972
Nota a margine 4 OMS, Dichiarazione di Alma-Ata sull’assistenza primaria, Conferenza internazionale sull’assistenza sanitaria primaria, 6-12 settembre 1978, Alma Ata, URSS, 1978.
Nota a margine 5 OMS (1992), Primo Piano d’Azione Europeo sull’Alcol, Copenhagen.
Nota a margine 6 G. Edwards et al. (1994), Alcohol Policy and the Public Good, Oxford, Oxford Medical Publications, Oxford University Press.
Nota a margine 7 OMS (1995), Carta Europea sull’Alcol, Parigi, Conferenza «Salute, alcol e società».
Nota a margine 8 Fino al 1948 la definizione di salute era semplice, facilmente comprensibile, basata su un’affermazione negativa: la salute è assenza di malattie. Al termine della catastrofica seconda guerra mondiale esplose nel mondo un immenso desiderio di pace, libertà, equità e giustizia sociale che si concretizzò nell’istituzione delle Nazioni Unite (ONU) e, al suo interno, dell’OMS. Nel preambolo della Costituzione dell’OMS fu scritto che «la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità». Questa definizione, che ha ispirato e ispira tutt’ora in modo coerente la linea politica e tutte le attività dell’OMS, ha avuto un impatto enorme nel mondo della cultura, delle scienze e delle politiche sanitarie mettendo in crisi il paradigma bio-medico e costituendo ancora oggi un caposaldo.
Nota a margine 9 Il concetto di promozione della salute risale sempre all’OMS che nella Carta di Ottawa del 1986 la definisce come «il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla». Il documento aggiunge anche che «per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vita quotidiana e non come il fine della vita. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere». Si parla di processo proprio perché la promozione della salute, così come intesa dall’OMS e recepita da Hudolin, non guarda solo alle azioni dirette a rinforzare le capacità degli individui, ma anche a quelle azioni tese a cambiare le condizioni sociali, ambientali, culturali, economiche e strutturali attraverso un intervento comunitario che prevede una stretta collaborazione tra i diversi settori della società, incluse le organizzazioni di volontariato tra cui i Club, allora definiti Club degli Alcolisti in Trattamento oggi ribattezzati Club Alcologici Territoriali.
Nota a margine 10 L’alcologia come disciplina scientifica nasce proprio dal movimento dell’auto mutuo aiuto con gli Alcolisti Anonimi nel 1935, movimento a cui Hudolin si è ispirato nel dar vita ai Club Alcologici Territoriali.
Nota a margine 11 Nella sua relazione «L’operatore nei programmi alcologici», tenuta a Trento nel 1992 durante il 1° Congresso Nazionale delle famiglie e degli operatori dei Club, Hudolin parla degli operatori della salute della comunità, come di quelle figure, non necessariamente mediche, ma che lavorano direttamente sul territorio e che sono addestrate per svolgere compiti per i quali i medici non sono sufficientemente preparati. Così facendo tali operatori diventano agenti di cambiamento della cultura della comunità locale, soprattutto se esplicano il loro compito come volontari, eliminando così ogni riferimento alle strutture o infrastrutture ufficiali (A. Devoto, L’incontro con l’altro. Per una esistenza libera dalle dipendenze, Firenze, Promozioni Culturali, 1993).
Nota a margine 12 L’espressione operatore apre la considerazione sull’evoluzione della terminologia all’interno dell’approccio ecologico sociale che ha portato al passaggio dal termine operatore utilizzato nel testo e prima ancora definito terapeuta, a quello attuale di servitore-insegnante.
Il termine operatore fu introdotto da Hudolin nel 1985 durante il Congresso italo-jugoslavo degli allora Club degli Alcolisti in Trattamento tenutosi ad Abbazia in Croazia in sostituzione di terapeuta. Esso poi è stato a sua volta sostituito prima dal termine servitore (Vl. Hudolin, Atti del congresso «Spiritualità antropologica ed ecologia sociale», Assisi, 1994) fino adarrivare al termine servitore-insegnante (Vl. Hudolin, Atti del congresso «Spiritualità antropologica ed ecologia sociale», Assisi, 1996).
Nota a margine 13 Il termine alcolismo, nell’approccio ecologico sociale, come espresso nell’introduzione, nonostante sia ancora utilizzato nella cultura sanitaria, non viene più riconosciuto all’interno dei manuali diagnostici. L’approccio ecologico sociale da tempo parla di problemi alcolcorrelati.
Nota a margine 14 Quando Hudolin parla di trattamento, lo distingue dalla cura in senso stretto e fa riferimento ad un cambiamento di stile di vita (capitolo 1, Terza Parte). Fino al 2010 il termine trattamento faceva parte dell’acronimo CAT (Club degli Alcolisti in Trattamento). Il congresso nazionale di Paestum ha proposto e accettato il passaggio a Club Alcologici Territoriali per cui sono stati abbandonati sia il termine trattamento che la parola alcolisti, concetti ambigui e stigmatizzanti, in antitesi con i principi della metodologia e ancora legati aduna visione medica ampiamente superata dalla ricerca epidemiologica e dai documenti dell’OMS.
Nota a margine 15 Il concetto di bere moderato, così come quello di bere problematico, oggi sono stati meglio definiti come consumo a rischio (hazardous), espressione che ribadisce come consumare bevande alcoliche sia sempre un comportamentorischioso per la salute e che sarà inclusa nell’ICD-11, e consumo dannoso (harmful) già presente nell’ICD-10 (T. Babor, R., Campbell, R. Room e J. Saunders (a cura di), Lexicon of Alcohol and Drug Terms, Geneva, World Health Organization, 1994).
Nota a margine 16 All’interno dell’approccio ecologico sociale si preferisce parlare di persona con problemi di alcol. All’interno della cultura sanitaria, invece, il termine viene ancora oggi utilizzato per riferirsi alla persona con alcoldipendenza, concetto altrettanto ambiguo come quello di alcolismo, come espresso nella nota 10.
Nota a margine 17 La classificazione di Jellinek citata da Hudolin risale al 1960 (E.M. Jellinek, The Disease Concept of Alcoholism, Conn., New Haven, Millhouse Press, 1960) ed è stata il primo importante tentativo all’interno del«modello medico» di dare una lettura multidimensionale dei problemi alcolcorrelati. Jellinek descriveva l’alcolismo come qualsiasi tipo di consumo che causi un danno all’individuo, alla società o a entrambi.
Nota a margine 18 A partire dal primo Congresso italo-jugoslavo degli allora Club degli Alcolisti in Trattamento, Hudolin ha iniziato a definire «l’alcolismo come un particolare modello di comportamento, uno stile di vita che può tradursi in malattia quando si manifestano complicanze organiche, psichiche e sociali» (capitolo 4, Terza Parte). Nel 1994 ribadisce che «L’alcolismo non ha un significato medico (non può essere scientificamente definito, diagnosticato o curato in un senso medico tradizionale), ma rientra in un concetto vasto del comportamento, dello stile di vita dell’individuo, della famiglia e della comunità. In senso medico stretto l’alcolismo non esiste, perché questo altrimenti significherebbe medicalizzare gran parte degli esseri umani. […] L’approccio ecologico al comportamento alcolcorrelato e complesso si allontana dai concetti tradizionali medici e psichiatrici. Il rapporto fra l’uomo e l’alcol, fra l’uomo e il comportamento non può essere sottomesso né alla diagnostica medica né alla terapia tradizionale. Altrimenti molti tipi di comportamento individuale e sociale dovrebbero essere considerati come malattie. L’approccio deve essere complesso, demedicalizzato e depsichiatrizzato. Questo non significa la ricerca di uno stato di assoluto benessere ma di un’interazione attiva nelle comunicazioni dentro al sistema e fra i sistemi»(Introduzione in Vl. Hudolin, A. Ciullini, G. Corlito et al. (a cura di), L’approccio ecologico sociale ai problemi alcolcorrelati e complessi, Trento, Erickson, pp. 15-113).
Nota a margine 19 Hudolin è sempre stato molto critico sul concetto di dipendenza e ha sempre parlato del legame specifico che si crea tra l’uomo e l’alcol in relazione ad un numero enorme di fattori interni ed esterni.
Nel 1995, durante ilterzo congresso sulla Spiritualità Antropologica di Assisi affermò: «Io uso la parola dipendenza eccezionalmente, perché non so cosa significhi dal punto di vista professionale. Non so cioè se intenda significare un problema somatico o un problema psicologico o antropospirituale (socio-culturale)».
Nonostante le criticità rilevate da sempre nel mondo scientifico, il termine dipendenza è diventato di uso comune ed entrato a far parte dei manuali diagnostici principali insieme all’abuso di alcol, considerati come categorie distinte e descritti attraverso criteri diagnostici specifici (DSM III, DSM III-R, DSM IV, ICD 9). Recentemente il DSM-5 ha abolito il concetto di dipendenza (che implica una dipendenza fisica e non necessariamente una dipendenza psicologica) per l’incerta definizione e la connotazione potenzialmente negativa (DSM-5, p. 568). Ha eliminato anche l’abuso, come già era stato fatto dall’ICD-10, e ha introdotto un’unica categoria diagnostica il Disturbo da Uso di Alcol (DUA) misurato su un continuum di gravità che va da lieve a moderato a grave.
Si conferma l’idea di continuum sempre sostenuta da Hudolin in linea con quanto anche dichiarato dall’OMS che, come detto, da tempo ribadisce l’importanza dell’approccio di popolazione e la necessità di spostare l’attenzione, dal tradizionale interesse sanitario nei confronti dell’alcolismo, ai consumi di alcol di tutta la popolazione. Bere è sempre un comportamento a rischio per tutti, non è un problema di pochi, rischio che può essere basso o alto in relazione a diversi parametri. Anche l’ICD-10 parla di disturbi legati all’uso di alcol, includendovi l’intossicazione acuta, il consumo dannoso e mantenendo l’alcoldipendenza (cfr. nota 6).
Nota a margine 20 La teoria recettoriale e il fenomeno del neuroadattamento sono alla base dell’approccio farmacologico che, sebbene sia importante anche in ambito alcologico, ripropone ancora oggi l’idea di alcoldipendenza come malattia cronica recidivante. Non esiste un farmaco elettivo e risolutivo di un fenomeno psico-fisico-sociale multifattoriale, come definito dallo stesso Hudolin.
Nota a margine 21 Ancora oggi il Medico di Medicina Generale (MMG) potrebbe avere un ruolo chiave nell’identificazione dei problemi alcolcorrelati come sostenuto da Hudolin, tuttavia questo non avviene.
I MMG in Italia hanno una bassa conoscenza degli strumenti di identificazione precoce e di intervento breve come emerge da una recente indagine fatta nell’ambito del progetto europeo AMPHORA (E. Scafato, A. Cuffari, C. Gandin et al., Rischio alcol: urgente garantire conoscenze e formazione medica per la diagnosi precoce e l’intervento breve, 2013, http://www.epicentro.iss.it/alcol/apd2013).
In generale in Italia tutti gli operatori sanitari siinformano poco sul consumo di alcol e non forniscono indicazioni al riguardo, come emerge dai dati del sistema di sorveglianza Passi-Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia (2008-2013) (http:// www.epicentro.iss.it/passi/)
Nota a margine 22 Oggi non esiste più la distinzione tra alcolismo cronico e alcolismo acuto. Si parla di consumo rischioso, consumo dannoso, intossicazione acuta, disturbo da uso di alcol (cfr. note 15 e 19).
cari, ecco alcuni commenti ai fascicoli 2 e 3.
grazie a carlo per il lavoro di redazione, grazie a chi ha offerto molti spunti negli altri commenti.
ciao fiorenzo
SECONDO FASCICOLO
• Interessante l’excursus storico. Il percorso di comprensione delle problematiche legate ai comportamenti gratificanti/distruttivi dell’uomo e delle comunità è sempre in evoluzione, tanto più se questi comportamenti si radicano su costumi ancestrali. Ogni approccio specialistico pare riduttivo sia esso moralistico che medico. L’attuale elaborazione dei CAT e del metodo Hudolin essendo olistico/ecologica, nella componente individuale e sociale, si presenta come completa.
• La compiutezza dell’approccio dei CAT non esime dalla sua declinazione allo specifico contesto. Una modulazione indispensabile soprattutto nella fase di comunicazione e nella prima fase dell’affiancamento. Il singolo individuo o il gruppo sociale (famiglia, comunità territoriale, nazione) a seconda dei periodi storici e del luogo è sensibile a sollecitazioni diverse. Ad esempio alcune persone decidono di intraprendere un percorso di sobrietà perché il loro medico ha prospettato loro seri problemi di salute. Per altre persone l’appello morale, bere è “peccato”, era od è prevalente. Gli stessi meccanismi psicanalitici, considerati universali, sembra non si possano applicare ad alcune popolazioni. In una società frammentata e multietnica come quella bresciana potrebbe essere interessante porci la questione: in questo momento e per il nostro territorio, quale è la sensibilità prevalente sul tema alcool? E la stessa questione vale per il singolo individuo.
• Il rapporto trattamento dei problemi alcolcorrelati e problemi psichiatrici spesso ritorna. Nel metodo dei CAT anche solo per la formazione di Hudolin. La psichiatria è la branchia della medicina “occidentale” che è riuscita ad uscire, rispetto alle altre specializzazioni, dalle angustie della farmacologia/chirurgia. E proprio lo sviluppo iniziale del metodo Hudolin ha avuto molte suggestioni e percorsi paralleli nella psichiatria (psichiatria sociale, Basaglia, ecc.). Le contaminazioni si sono realizzate sia sul processo interpretativo che terapeutico.
• La correlazione problemi alcolcorrelati/problemi psichiatrici nella mia piccola esperienza l’ho ritrovata in molte persone senza tetto. Senza entrare nella casistica eziologica o causale, prima alcolista poi sulla strada infine disturbato psichicamente oppure prima malato di mente poi sulla strada infine alcolista, mi pare che soprattutto nelle esperienze di trattamento le due problematiche possono trovare similitudini. L’approccio sistemico/relazionale o ecologico sociale riesce ad innescare nuove prospettive e risorse per contenere o superare entrambi i malesseri. Il primo CAT di Brescia è partito proprio per affrontare il problema di una persona senza dimora. Forse sarebbe bello se questo gemellaggio potesse trovare una riproposta?
TERZO FASCICOLO
• Le considerazioni sulla natura e gli effetti dell’alcol esposti nel terzo fascicolo supportano la tesi che l’alcol si presenta in un continuum. Rincorrere le definizioni di “bere moderato” o di “abuso”, oltre che difficile da un punto di vista comportamentale risulta non giustificato da un punto di vista scientifico. La questione del rapporto con alcune sostanze “gratificanti” accompagna l’umanità dai suoi albori. Ci sono alcuni “additivi” alimentari semplici come lo zucchero ed il sale o complessi come i coloranti. Ci sono le sostanze come le droghe che alterano lo stato psico-fisico creando una sensazione di benessere o quantomeno di stordimento. Ci sono gli antidolorifici che “gratificano” eliminando o riducendo il dolore fisico. Ci sono sostanze naturali, sostanze frutto di una lavorazione che sfrutta meccanismi naturali e sostanze chimiche. Alcune usate solo da una famiglia, altre patrimonio di un’intera cultura. Alcune senza un impatto economico, altre come il vino la cui produzione fattura in Italia 11 miliardi di euro all’anno (la pasta 5 miliardi). Non è facile prendere le distanze da sostanze nocive il cui utilizzo è diffuso e radicato nelle abitudini. Anche perché per molte di queste sostanze si è consolidata, al momento, la convinzione che ne esista un consumo compatibile con la salute ed un abuso nocivo; si pensi alla caffeina o alla marijuana senza THC. Riguardo all’alcol la tesi ormai condivisa a livello mondiale, dalla scienza e dai molti metodi, è che sia nocivo, a prescindere dal quantitativo ingerito o inalato.
• La tesi del continuum ha tante implicazioni concrete e piste di operatività per i CAT. Non è facile scardinare la convinzione che il bere moderato non sia nocivo o che sia addirittura benefico. Questo vale per gli stessi frequentatori dei club (pensate a Giovanni…) e in misura allargata al contesto italiano. In una prospettiva psicosociale questo dato scientifico se esteso supporta anche l’appello al cambiamento come strumento per migliorare il benessere individuale e collettivo. Non ci si può mai accontentare della propria condizione, bisogna puntare a liberarsi dalle abitudini, soprattutto deleterie, e orientarsi verso nuove dimensioni di vita.
Ti scrivo per quanto riguarda la mia recente lettura inerente al terzo fascicolo, al di là dei dannosi effetti risaputi sulla salute ho potuto approfondire il fatto che le sostanze alcoliche possono essere dannosissime anche per un solo singolo utilizzo, possiamo dire che gli effetti come sono qui descritti siano effettivamente velenosi dal punto di vista del nostro organismo, al di là che la sostanza stessa viene riconosciuta come la causa e la madre di malattie tumorali e non solo. Inoltre evidenzia la forte alterazione sensoriale, visiva e spaziale di chi si mette alla guida, causa di numerosissime sempre più attuali tragedie della strada. sfatando il fatto che una semplice dormita o l’assunzione di caffè possano ‘risolvere’ o accelerare lo smaltimento degli effetti provocati dall’assunzione di sostanze alcoliche (era anche una mia convinzione).
Viene ampliato il rischio in senso lato visto che come viene detto l’alcool rappresenta un rischio tossico per tutti a prescindere dalla cadenza giornaliera/settimanale/mensile ed occasionale.
I numeri che fanno riflettere ancora sono legati ai litri ed al business economico annuale (800 miliari) dalle quali le multinazionali ne traggono vantaggio notando anche il fatto che si parla di incrementi percentuali forte del fatto della pubblicità televisiva e non e della ‘cultura’ sociale.
Penso che siano dati che almeno una volta nella vita, sarebbe buono che a prescindere dalla frequenza di utilizzo, tutte le persone dovrebbero visionare per rendersi conto del rischio al quale si va incontro a livello salutare per sé stessi ma di riflesso anche a chi vive intorno.
Noto in me stesso che la lettura dal punto di vista indiretto trovandomi a cospetto di nomi di sostanze alcoliche e gradazioni ancora fanno fuoriuscire la mia parte debole e sensibile al riguardo, ma digerisco anche che il fatto della consapevolezza delle conseguenze dannose (mai lette ed analizzate in questa maniera prima d’ora) mi arricchiscono in maniera positiva e contribuiscono favorendo il percorso di cambiamento.
Parte tecnica di pura alcologia, poco utile dal punto di vista metodologico e di cambiamento come obbiettivo, ma molto interessante sotto l’aspetto dinamico e sociale della sostanza.
Saltano subito all’occhio quelle che per noi sono ovvietà, ma che per la stragrande maggioranza delle persone sono bufale, bugie, estremismi, cose a cui non VOLER credere, seppur comprovate scientificamente, medicalmente e fisicamente:
L’alcol è una sostanza cancerogena a tutti i livelli di assunzione, con ben 14 possibili formazioni tumorali in conseguenza di esso.
L’alcol è una droga, essendo sostanza psicotropa, che dà dipendenza.
L’alcol è il depressivo naturale di maggior forza.
Non esiste uso e abuso di Alcol, esiste uso o non uso.
La correlazione tra Alcol e multidimensione della sofferenza è quasi certa.
Quello però che non balza subito all’occhio in questo capitolo, e che a me sta dando molto su cui riflettere, sono i valori minimi consentiti di Alcol alla guida, nei vari paesi del mondo.
Se ben analizzati, emerge chiaramente come i paesi che danno come valore zero su zero hanno una sola cosa in comune, sono paesi poveri, economicamente parlando.
Di qui la mia riflessione, che porta al pensiero che più un paese ha un’economia forte, più la vuole mantenere tale, anche a discapito del ben-essere comunitario, favorendo lobbie e tollerando comportamenti pericolosi in prima persona e per la comunità tutta. Questo modello si può seguire anche per altri flagelli familiari e sociali, come il gioco d’azzardo, tanto per citarne uno. Siamo quindi chiamati alla grande sfida della consapevolizzazione, a maggior ragione.
Proseguendo nell’approfondimento del Manuale di Hudolin siamo arrivati al terzo fascicolo. Dopo un’attenta lettura ho avuto vari spunti. Ormai i danni fisici e psichici dell’Alcool sono documentati, non esiste alcuna dose che non provochi danni, non ci sono né se né ma… Sembra una considerazione banale ma di difficile divulgazione, gli usi e costumi che ci trasciniamo dalla storia dell’uomo hanno fatto sì che l’uso di alcool rientri nelle nostre abitudini quotidiane, demonizzando invece chi ne abusa che è proprio un controsenso. A me sembra un paradosso ora, è stato l’avvicinamento all’Acat che mi ha permesso di approfondire seriamente il problema e quindi di capire la sua semplicità, se non c’è consumo di alcool non esistono problemi correlati. Ora mi sembra tutto logico oltre che banale, ma ho dovuto fare un percorso che non termina, ogni approfondimento anche se piccolo è sempre un passo avanti. Il vero problema è comunicare con le persone, pochissime ti ascoltano, oppure ti ascoltano ammettono il problema però con mille attenuanti e scuse. Non importa, proseguo nel mio percorso, e se ci saranno persone disposte al dialogo io sarò sempre disponibile. Un abbraccio virtuale Gerardo.